Ligabue, il Dottore ed io

Dire che io abbia una venerazione per Ligabue potrebbe risultare riduttivo.
Vorrei essere sua moglie, il suo batterista, la sua governante, il suo lustra scarpe e chi ne ha più ne metta.
Non sono ancora ai livelli epici di Annie Wilkes in Misery non deve morire, ma non escludo di diventarlo in vecchiaia.
Lo scorso ottobre il mio migliore amico che qui chiamerò il Dottore (in realtà il suo nome è Dottor Morte, ma questo merita un post a parte), colui che 20 anni fa per primo mi fece conoscere un certo Luciano Ligabue, mi chiamò con un ordine perentorio:
"METTI IL TUO CULONE DAVANTI AL PC E COMPRIAMO I BIGLIETTI PER IL 30 MAGGIO!"
Lo scenario che mi si presentava ero il seguente:
- mia figlia che guardava un film della Disney ad un volume esagerato
- connessione internet che andava e veniva
- cellulare appiccicato all'orecchio
- il Dottore a casa sua a Firenze, io nel salotto di casa mia a Roma
- amica V. su what's app a cui fare la telecronaca dell'acquisto
- sito ticket one che faceva comprare solo 2 biglietti alla volta e a noi ne servivano 4
Mandare tutto a fanculo era questione di attimi.
Armati di santa pazienza ci siamo messi a controllare posti disponibili e prezzi.
- "sono rimasti i laterali"
- "eh ma non si vede nulla poi"
- "raga, si va in tribuna Monte Mario?"
- "oh, ma costa 90 euro"
- "allora si va sul prato?"
- "sul prato ci vai te!"
Sapevamo che fare due acquisti separati senza supervisione avrebbe significato avere posti lontani. Sembrava non dovessimo uscirne vivi. 
Era complicato coordinarci in queste condizioni: io riuscivo a visionare sul pc la piantina dell'Olimpico con le relative disponibilità e lui no, ma lui aveva la carta di credito e io no.
- "ok...allora prendo i primi due.....che la fila è ancora tutta vuota....segnati i posti"
- "ok....segnati"
- "così se nel frattempo ci ciulano gli altri posti a sinistra abbiamo ancora quelli a destra"
-  "ok ma fammeli spedire a Firenze i miei"
- "va bene, dammi i dati della carta"
E lì Il Dottore ha cominciato a sussurrarmi i dati della sua carta di credito.
- "oh, ma cazzo sussurri?"
- "la mia fidanzata sta correggendo la tesi di una studentessa, non voglio che questa si segni i dati".
La sua paranoia era la ciliegina sulla torta nel momento per me già  stressante dell'acquisto on line, visto e considerato che io mi agito anche quando scarico le applicazioni gratis da google play.
- "ok, primi due presi. Vado con gli altri due"
- "controlla che siano accanto"
- "fatto, sono disponibili ancora. Ridettami i dati della carta"
E lì dai a sussurrare di nuovo. LO VOLEVO AMMAZZARE.
Era fatta, eravamo riusciti nell'impossibile.
Tempo dieci giorni e arrivano tramite UPS il biglietto di amica V. e il mio.
Dai di telefonate di nuovo.
- "oh, controlliamo i posti, io ho 11 e 12".
- " perfetto, io 13  e 14".
Non rimaneva che aspettare.
In quell'arco di tempo che va da ottobre a maggio il tempo è volato e nonostante ci sia visti tra Firenze Roma e paesello tra i monti, non abbiamo più fatto cenno al concerto.
Il 30 maggio però è arrivato zitto zitto senza che ce ne rendessimo conto.
Ovviamente 2 giorni prima del concerto controllo le previsioni meteo e lo scenario che si apre davanti ai miei occhi è una 3 giorni di pioggia incessante.
Avremmo ripetuto l'esperienza del FUORI COME VA? TOUR nel 2002; era il 15 luglio e venne giù una pioggia che dio la mandava.
Inoltre a completare il quadretto ci si metteva anche lo sciopero di 24 ore dei mezzi pubblici.
Tutto ci remava contro, ma per grazia ricevuta dal dio culo, alle 19.00 in punto siamo entrati all' Olimpico sotto un cielo limpidissimo, in barba al Dottore che ha preso alla lettera la mia frase "portati una felpetta che la sera si alza un vento fresco" e si è presentato con una felpa imbottita di pelliccia di foca sintetica.
Di 30 di maggio.
A Roma.
Appena sono uscita dal cono d'ombra delle scalinate d'accesso dello stadio il sole mi ha investita e così le parole de IL CILE con CEMENTO ARMATO, canzone che adoro e che ho subito cominciato a cantare.
Controlliamo i posti, ok sono giusti.
Le due ore seguenti sono passate così:
  • mangiando la pala di pizza al prosciutto che avevamo comprato e che sarebbe bastata a sfamare l'intera curva e 3/4 dello staff del Liga.
  • facendoci foto idiote
  • ipotizzando il brano di apertura
  •  rifacendoci foto ancora più idiote perché non eravamo venuti abbastanza male prima.
  • litigando con chiunque si avvicinasse millantando la proprietà dei nostri posti  ripetendo come Nicole Kidman in THE OTHERS nella scena finale QUESTIPOSTISONONOSTRI-QUESTIPOSTISONONOSTRI-QUESTIPOSTISONONOSTRI
  • cercando di assecondare la ola che ci trovava sempre scoordinati 
  • mangiando ancora, perché tra me e il Dottore si trangugia cibo che è una bellezza
 Alle 21.30 ecco che iniziamo a sentire le prime note.

Sull'enorme maxischermo compaiono dei cerini e arriva lui, Sua Maestà il Liga, in completo gessato e occhiali da sole a incantare tutti noi.
Da quel momento in poi ricordo solo il boato dei 60.000 presenti a caricare l'aria di un' energia tangibile.
Un concerto così non me lo gustavo dal famoso temporale del 2002.
Ero presente anche nel 2010, ma le cose erano diverse.
Ricordo che io e amica V. eravamo incinte di 3 mesi e quindi saltare e sbattersi non era proprio all'ordine del giorno.
Inoltre il Dottore non c'era, e senza di lui mi manca sempre quel pizzico di follia.
Invece questa volta ero proprio carica.
Sono passati 12 anni dall'ultima volta che eravamo qui, io e il Dottore insieme.
Nel mezzo si sono avvicendati fidanzati, fidanzate, Erasmus, convivenze, lauree, matrimoni e figlie.
Eppure è un attimo. Eccoci di nuovo a cantare e caricare queste canzoni di significati sempre nuovi, di esperienze che ci hanno arricchito e che ci hanno cambiato ma non troppo. Non sia mai che si smetta di fare i cretini insieme.
Dopo pochi minuti di concerto il Liga cala l'asso. 
Attacca con HO MESSO VIA, e lì vai di abbraccio e dondolamento mentre si canta.
Cantavo a squarciagola, credevo mi stessero sanguinando le corde vocali dallo sforzo ma non me ne è fregato nulla.
Cantavo come si canta a 20 anni, quando senti che quella canzone è stata scritta per te e nessuno sembra capirti tranne quel cantante.
Ho inaspettatamente caricato questa canzone di mille nuovi significati, di quelli vecchi e di ricordi che sono sempre lì, a pelo d'acqua.
Me ne sono stupita, visto che non è uno dei miei pezzi del cuore.
Ho ricordato l'sms che il Dottore mi mandò nel primo anniversario del mio giorno di dolore "e non è il male né la botta, ma purtroppo il livido", e lì in mezzo a questi pensieri ecco che mi metto a piangere.
Spero che nessuno mi veda, perché sono lacrime troppo private che nessuno capirebbe, che non voglio che nessuno capisca, che nessuno scambi per lacrime di una che piange  e pensa a un ex fidanzato. Queste lacrime sono ben più pesanti.
Ed eccola lì .Chissà da quanto tempo è che sono in questa posizione.
Mi accorgo di avere la mano sul petto.
Canto, piango e la mia mano è sul cuore.
Sono nel mio tempio, queste per me sono parole d'amore.
Queste per me non sono solo canzoni; sto cantando le mie preghiere, i miei ricordi, la mia capacità di andare avanti e la mia impossibilità a farlo.
Sono totalmente presa dalla voce graffiante e rassicurante di quest'uomo perbene, che mi legge dentro da 20 anni e sembra scrivere canzoni solo per me.
Cantava Ti sento nel periodo della mia vita in cui ero follemente e perdutamente innamorata di quello che i ben informati ricordano come il mio amore travagliato, il mio pugno nello stomaco, la mia balena bianca.
Cantava Bar Mario nelle sere d'estate che passavo al paesello con il Dottore e tutti gli altri, seduti sulla spensieratezza dei nostri 20 anni con  tutta la vita e una birra davanti, proprio in un bar che neanche a farlo apposta si chiamava Da Mario.
Cantava Lettera a G nel momento più ingrato che la vita mi abbia regalato.
Grazie al cielo nessuna di queste 3 era in scaletta, perché avrei anche potuto salutare, ringraziare, prendere la pizza che avanzava e andarmene.
Non avrei retto e tutte quelle emozioni.
Troppi ricordi, troppi significati, troppe domande che aspettano ancora una risposta.
E' stato un concerto che mi ha trasmesso la carica e in cui io ho riversato la mia.
Fa delle canzoni che mi entrano dentro, e va bene.
Scrive dei testi che sono delle poesie, e va bene.
Ma la cosa che più amo di Luciano è il trascinarmi dove vuole lui, come  e quando decide lui.
Allora salto, ballo, indico lui, indico il cielo.
Sudo, poi sento freddo, mi copro, poi ricomincio a saltare, poi sento freddo di nuovo.
Domani sarò afona e con il collo bloccato, ma chissene!
Non riesco a smettere, e penso che se avessi quest'energia quando vado a correre con l' ipod ben infilato nelle orecchie macinerei chilometri su chilometri.
La sorella del Dottore, seduta accanto a me ha la telecamera e inquadra il palco per incamerare tutta quell'energia.
Peccato che come sottofondo si sentirà la mia voce che urla e strepita.
Sto rovinando il filmato, non me ne voglia.
L'Olimpico viene giù con Urlando contro il cielo.
Al passaggio il patto è stringerci di più, prima di perderci scatta l'abbraccio.
Immancabile, rituale oserei dire.
Da quel lontano 2002 quando ci sorprese il temporale e scendemmo dagli spalti per andare a ballare sul prato e ci venne spontaneo stringerci al suono di quelle parole.
Il pezzo che chiude il concerto è Con la scusa del rock and roll, la canzone che io avevo ipotizzato come brano d'apertura.
Beh, tra prima e ultima ci sono andata vicino dai.
Ligabue vale sempre l'attesa.
Che siano 4 anni tra un disco e l'altro, o due ore di brainstorming per comprare i biglietti on line, il gioco vale sempre la candela.
Avevo bisogno di sfogarmi, di regalarmi una serata che spezzasse un po' la mia amata routine.
Avevo bisogno di urlare contro il cielo.
E visto che avremo consumato quelle 30 calorie nel saltare e ballare come indemoniati, dopo il concerto io e il Dottore ci siamo concessi un panino con hamburger e maionese e una chiacchierata delle nostre fino alle 3 di notte nella mia cucina.
Come facevamo a 20 anni. Come faremo a 50. Come faremo a 100.
Parole che si sovrappongono, esperienze da raccontarsi tutte d'un fiato, perchè ci si vede poco e si deve concentrare in poco tempo il resoconto di tutta quella vita che ci attraversa mentre siamo lontani.
Perché certe notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smetter mai.


 







 

 


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